Ricominciare dal giornalismo, quello vero. A tu per tu con Alessio Porcu
Il direttore di Teleuniverso, emittente del Lazio meridionale, e della testata AlessioPorcu.it racconta com’è cambiata la professione giornalistica. Fra digitalizzazione, mancanza di senso critico e ritardo nelle competenze ambientali
I rapidi cambiamenti di questi anni, in tutti gli ambiti della nostra vita, ci mettono di fronte a questioni importanti. Oggi sarà Alessio Porcu, giornalista professionista, direttore di Teleuniverso, storica emittente del Lazio meridionale, e della testata online AlessioPorcu.it a confrontarsi sulla professione del giornalista in un momento tanto complesso, sul fenomeno della digitalizzazione e sulla centralità delle tematiche green ormai ineludibili. Tutti argomenti intorno ai quali anche lui si misurerà, insieme a storici dell’ambiente, comunicatori e docenti, durante il al Symposium on Social Transition and Climate Change che l’Università di Cassino e del Lazio meridionale organizza per il 3 e 4 giugno al Castello Angioino di Gaeta (Lt).
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Nell’era di Internet abbiamo la tendenza a cercare informazioni sul nostro interlocutore, quindi partiamo dalle generalità facilmente reperibili con un click. Lei inizia la sua carriera da giovanissimo: nel 1985, appena diciottenne, entra a Teleuniverso ricoprendo diversi ruoli all’interno della redazione e 5 anni dopo diventa il direttore. Ciò però non basta per conoscere una persona ed è quello che vogliamo fare oggi. Come racconterebbe il suo percorso? Quali le difficoltà e i successi?
Tutto è cominciato come accadeva all’epoca: con una grande passione. Una grande passione che porta a sopportare tutte le scomodità di un mestiere che, negli anni ’80, si faceva senza i computer e la videoscrittura, ma si faceva essenzialmente al telefono con il prefisso e la teleselezione, dove i comunicati della prefettura arrivavano ancora per posta e quindi in alcuni comuni arrivavano prima, in altri dopo. Le informazioni si prendevano solo andando di persona, nel linguaggio gergale di questa professione chi si occupa della cronaca ogni giorno fa il cosiddetto “giro di nera”, cioè le telefonate a carabinieri, polizia, guardia di finanza, ospedali. All’epoca si chiamava così perché a piedi o con la circolare si raggiungevano la questura o il comando provinciale dei carabinieri a Frosinone. Ecco, era un modo di lavorare molto più scomodo, molto più lento, anzi infinitamente più lento rispetto ad oggi, che però nascondeva la necessità di una profondissima passione che era in grado di regalare. Ci sono quelli che dicono di avere dato una vita a questa professione, ma in realtà dobbiamo renderci conto che è questa professione a dare una vita a noi.
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Nel 2017 è nata la testata di AlessioPorcu.it. Quando ha avuto questa idea e perché?
Nasce come naturale evoluzione della forma di comunicazione. Il grande dubbio cominciò a venirmi quando i dati dell’Auditel registravano che Teleuniverso era la tv più ascoltata e più seguita nel Lazio: la mia riflessione era su una rete che, in un territorio di un milione d’abitanti, cioè il basso Lazio, riusciva a superare quelle di Roma, che partono da un bacino di tre milioni e mezzo di abitanti. Questo poteva significare una sola cosa: stava collassando il sistema informazione a Roma e quindi tra poco sarebbe collassato anche il nostro. Di lì a pochissimi anni abbiamo avuto l’evoluzione con il digitale terrestre, la televisione on-demand, le smart tv e quindi le trasmissioni su richiesta. La domanda che io già all’epoca mi ponevo era come si sarebbe evoluto il modo di fare informazione: il comune denominatore tra le diverse epoche, dagli acta diurna nell’antica Roma fino ad oggi, è la notizia. Quello che cambia è il modo di veicolarla: se io oggi utilizzassi delle tavolette di cera potrei avere una notizia bellissima in esclusiva, ma francamente sarei un po’ arcaico, se volessi diffonderla solo attraverso la carta stampata altrettanto. Oggi la gente si informa in modo diverso grazie ad una grandissima rivoluzione silenziosa che è cominciata qualche anno fa e che continuerà ancora per qualche anno e sono i telefoni cellulari in cui c’è tutto quanto di noi. Nel momento in cui si comprende che è cambiato il modo di rapportarsi all’informazione, a quel punto nasce il sito Alessioporcu.it, per una comunicazione più smart, ma soprattutto per coprire un vuoto. Poco alla volta, a furia di risparmiare sui costi e sulla qualità abbiamo tolto la capacità di approfondire e di guardare oltre: allora ho fatto appello a tantissimi colleghi che erano usciti dal ciclo produttivo, chi era andato in pensione, chi aveva cambiato mestiere e con loro abbiamo dato vita a questo progetto che è semplicemente tornare a fare comunicazione ed informazione come si faceva almeno trent’anni fa.
Ricollegandoci proprio a questo, da anni ormai ci troviamo in quella che gli studiosi definiscono “Rivoluzione digitale”. Secondo la sua esperienza in che modo il ruolo del giornalista è cambiato con l’avvento della digitalizzazione?
C’è stata un’involuzione se pensiamo a quello che descrivevo prima e cioè al giro di nera: prima il giornalista era testimone oculare e riferiva ciò che vedeva, immaginiamo ad esempio Luigi Barzini, arrampicato su un palo, che racconta la rivolta dei Boxer in Cina. Oggi, invece, nel 90% dei casi se non di più, il giornalista è semplicemente un deskista cioè una persona che sta al desk e non è testimone oculare, racconta solo ciò che le agenzie o le fonti gli dicono. Ciò contribuirà a distruggere questa figura professionale: già oggi sono stati messi a punto degli algoritmi, in uso in alcune redazioni negli Stati Uniti, cito ad esempio MSNBC, dove meno di un anno fa il corpo redazionale è stato tagliato di quasi 30 persone perché ormai un algoritmo sulla base di una notizia d’agenzia è in grado di scrivere un pezzo. Informare, però, non è questo, fare giornalismo non è questo, purtroppo credo che la definizione di giornalismo sia stata dimenticata da molti: il giornalismo è la rielaborazione critica dei fatti, per avere capacità di rielaborazione critica bisogna conoscerli, vederli, capirli ed interpretarli, ricordando sempre che si dà una versione di parte, perché noi siamo portatori di quelle che sono la nostra educazione, le nostre esperienze, i nostri fallimenti ed i nostri successi e qualunque cosa noi vedremo, la vedremo con quegli occhi e con gli occhi di quelle esperienze gli daremo un’interpretazione. Il giornalismo asettico diceva Montanelli è “una cretinata, non esiste”.
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Sulla pagina del suo giornale leggo “Non pubblichiamo comunicati stampa, opinioni banali, idee riciclate.” Quali sono quindi le tematiche, le battaglie che le stanno più a cuore? Come definirebbe il suo giornalismo?
Non mi sono inventato niente, ho solo fatto quello che mi hanno insegnato a fare quarant’anni fa, ho seguito quel modo di lavorare che insegnava Montanelli. Secondo Montanelli esiste un solo modo di scrivere: chiaro. Si scrive in maniera chiara, cosa che oggi non vedo, anzi molti giornalisti ormai parlano solo ad una categoria o a se stessi. Vengo da un mondo nel quale quando un titolo non era chiaro si andava nel negozio che era sotto la redazione del Messaggero e una signora con la terza elementare ci diceva qual era il titolo che a lei piaceva di più: noi scrivevamo per la gente, ecco perché si comprava il giornale. Ora ci rendiamo conto che questo territorio non ha più temi: un tempo il completamento della superstrada Sora-Frosinone era un tema e nessuno sarebbe mai stato eletto in campagna elettorale se non avesse detto “mi impegnerò per completare la Sora-Frosinone e portarla fino ad Avezzano”. Oggi il lettore non sa nemmeno se ci sono delle strade da completare, peggio ancora, non lo sa neanche chi si candida ad essere classe dirigente: questi sono i temi che noi vogliamo portare all’attenzione della gente. Ci sono una serie di tematiche che ad alcuni appaiono rivoluzionarie, ma per me sono una banalissima evidenza: ad esempio a Copenaghen c’è uno dei più grandi termovalorizzatori al mondo, proprio dietro la statua della Sirenetta. Ciò ha cambiato il profilo e il panorama di quella zona, inoltre, lì c’è un campo da sci in erba sul quale Ford gira la pubblicità sul suo ultimo modello di macchina che noi vediamo in tv. Io non posso accettare che, invece, ci sia un territorio come il nostro nel quale si dica ancora che il termovalorizzatore è una fabbrica di veleni: stiamo perdendo tempo e questi bizantinismi stanno rallentando il nostro territorio. Io in assenza di opinioni propongo un’opinione.
I nonni fanno “studiare” i nipoti orfani della biblioteca https://t.co/OCo1nZfEuq
— AlessioPorcu.it (@Alessio_Porcu) May 31, 2022
Passiamo ora ad un argomento cruciale per i lettori di Cassinogreen. Secondo lei quanto pesano le tematiche ambientali nel racconto giornalistico del nostro territorio? Percepisce una maggiore attenzione o sensibilità rispetto al passato?
Pesano zero e la cosa ancora più grave è che c’è una totale impreparazione e incapacità da parte dei giornalisti che se ne occupano. Un tempo si diceva che fare il giornalista significava spiegare agli altri quello che per primi non si è compreso e nel caso delle tematiche ambientali è ancora più vero. Leggo delle castronerie, che non hanno alcun fondamento scientifico, scritte da giornalisti che non approfondiscono, ma prendono per buoni comunicati che arrivano da associazioni senza nemmeno verificare da chi siano composte e si limitano a fare solo da cassa di risonanza. Non è accettabile il fatto che se passo nella Valle Isarco o nella Val di Non al Brennero, al confine con l’Austria, in un ambiente verdissimo con le migliori coltivazioni di mele e tra i vigneti più pregiati in Italia, pieno di biodigestori e qui debba sentir dire che i biodigestori sono paragonabili a delle fabbriche di veleni o che sono pericolosi perché puzzano. Il problema è che chi dà spazio a queste cose non ha i fondamentali e allora è ancora più vero che chi scrive di queste cose fa il giornalista con la definizione che si diceva una volta: scrivono di cose che loro per primi non hanno capito e hanno la pretesa anche di spiegarlo agli altri.
In particolare secondo lei si nota un’evoluzione verso la sostenibilità e i modelli circolari anche nelle imprese della nostra zona? La green economy è la chiave per il futuro del Lazio Meridionale o la strada è ancora lunga?
Che la strada sia lunga non c’è dubbio, quanto sia lunga dipende dalla fame. Se tra poco verremo presi dalla fame faremo in tempo, altri si sono già attrezzati per il passaggio all’economia circolare che risulta indispensabile. Qualche tempo fa nel nostro territorio venne riaperto lo stabilimento Ex Recoaro a Castrocielo: venne realizzato uno stabilimento che aveva zero produzione di rifiuti perché tutto veniva riciclato e recuperato, quella è economia circolare. Economia circolare è quello che fanno in molte fabbriche del Nord Europa dove oramai è obbligatorio che le emissioni non debbano andare in atmosfera, ma vengono incanalate sottoterra e vanno a riscaldare le serre nelle quali si producono ortaggi, e va da sé che deve essere vapore che sia assolutamente green e pulito. Qui, invece, siamo ancora all’anno zero, l’emblema? I nostri avanzi di cucina fino a dicembre sono andati con un costo di €160 a tonnellata a Padova e lì venivano trasformati gratuitamente in gas, mentre le nostre fabbriche il 31 dicembre hanno cominciato a chiudere perché non ne avevano.