Amazzonia in fiamme

Nel cuore ferito dell’Amazzonia con Stefania Falasca

L’Amazzonia continua a bruciare. Le conseguenze, come documentava il Guardian già qualche settima fa, sono disastrose anche per quanto riguarda gli effetti sul cambiamento climatico dovuti alle emissioni di carbonio. E il conteggio dei roghi è impressionante: ad agosto gli incendi, secondo l’Istituto nazionale di ricerche spaziali (Inpe) del Brasile, sono aumentati del 196% mentre dall’inizio di gennaio è stata superata la quota dei 90.000 focolai rispetto ai 52.926 dello stesso periodo del 2018, il quadro peggiore degli ultimi nove anni (nel 2005 si toccò il record dei 148.124 inneschi). In molti, però, rimangono all’oscuro di quanto sta accadendo e anche sui media questa tragedia, dopo l’attenzione delle settimane estive, perde progressivamente di peso. Per fare il punto, cercare risposte e capire che cosa ciascuno di noi può fare per arginare questa catastrofe umana e ambientale, abbiamo intervistato Stefania Falasca, giornalista del quotidiano “Avvenire” e autrice insieme a Lucia Capuzzi del libro “Frontiera Amazzonia. Viaggio nel cuore della terra ferita” (Editrice missionaria italiana) che sarà presentato domani 5 settembre.

Stefania Falasca è l’autrice, insieme a Lucia Capuzzi, del volume “Frontiera Amazzonia” (Emi editore)

Ancora una volta la foresta pluviale amazzonica, con i roghi che si alimentano ormai da diverse settimane, ha lanciato il suo grido di dolore. Quale insegnamento lascia questa ennesima tragedia che colpisce  il “polmone del mondo”?
Ciò che accade in Amazzonia è l’esempio più evidente della cultura imperante che trasforma il pianeta in una grande discarica. La crisi è collegata ad un modello dominante di sviluppo denominato “globalizzazione del paradigma tecnocratico”. È un modello che induce a considerare il pianeta alla stregua di un oggetto e come tale può essere sfruttato, degradato e depredato senza scrupoli e senza rendere conto a nessuno. Il risultato è questa crisi ambientale e socio-ambientale mai sperimentata prima. L’insaziabilità dell’essere umano ha già annientato una parte importante dell’enorme ricchezza amazzonica e minaccia ciò che è riuscito a sopravvivere. È necessario per questo intervenire con urgenza a livello mondiale. Due importanti eventi hanno risvegliato la coscienza mondiale su questo problema: la prima è stata la pubblicazione dell’enciclica “Laudato si’…” di Papa Francesco e il COP21 a Parigi che si è concluso nel 2015 con la pubblicazione di un accordo sul clima firmato da oltre 190 Paesi. In esso sono indicate le azioni da intraprendere per superare questa grave crisi entro la fine del secolo. È fondamentale intraprendere nuovi cammini e promuovere un’ecologia integrale perché si tratta di salvare l’uomo dalla sua distruzione e di costruire una nuova società nel rispetto della natura. Ecologia umana ed ecologia ambientale camminano quindi insieme. Bisogna scardinare i sistemi economici finanziari vigenti, i quali generano solo una cultura dello scarto e distruzione per trovare quelle soluzioni globali in una riserva che ormai si sta esaurendo. È necessario, inoltre, che esistano dei limiti che ci aiutino a difendere noi stessi da ogni tentativo di distruzione massiccia dell’habitat in cui viviamo.

Perché è così grave che questo modello di sfruttamento indiscriminato si applichi alla foresta Amazzonica?
Da gennaio gli incendi nell’area Amazzonica sono aumentati del 67%. Molti di essi sono, però, stati incrementati per ampliare il settore agricolo. Spesso è stato, quindi, il governo federale stesso a incoraggiare l’uso della combustione estesa, che ad oggi è causa del disboscamento intensivo. L’Amazzonia, secondo fonti autorevoli di istituti di ricerca, sarebbe diminuita del 20% negli ultimi dodici mesi. La più grande foresta pluviale della terra è vittima della maggiore distruzione artificiale di ogni tempo. Sì, le fiamme bruciano “il polmone del mondo e il cuore della casa comune” e così brucia anche un bioma, un sistema vitale per noi. L’Amazzonia è un regolatore climatico globale che mantiene l’umidità dell’aria e da essa si origina il ciclo delle piogge totali. I motivi principali per cui è importante l’Amazzonia sono due. Il primo riguarda l’impatto delle sue risorse sull’economia globale e nell’ecosistema globale, il secondo la gestione di questo territorio che può divenire paradigmatica per il resto del mondo. L’Amazzonia è un enorme sistema in grado di assorbire l’anidride carbonica dell’atmosfera, funge inoltre da generatore d’acqua dolce. Basti pensare che questa zona da sola riesce a produrre il 20% della nostra acqua dolce. Essa presenta poi una vasta biodiversità, moltissime sono, infatti, le specie animali che vivono in questa zona. L’Amazzonia è un luogo strategico per la vita sulla Terra e proprio per questo che si è scatenata una profonda crisi causata da una prolungata ingerenza umana in cui predomina una cultura dello scarto e una mentalità estrattivista.

Ma la responsabilità è tutta di questo governo? Quelli precedenti avevano varato dei programmi federali per tutelare adeguatamente l’ecosistema amazzonico?
Quello che posso dire è che non si può più lasciare l’Amazzonia all’arbitrarietà nefasta di un certo bullismo politico di singoli governi. Non ci si può più permettere che l’Amazzonia sia una terra senza legge, luogo per eccellenza del brigantaggio di coloro che uccidono natura e uomini con la stessa indifferenza e convinzione. Io credo che sia giunto il tempo di spezzare il paradigma che per secoli ha visto in questa regione uno spazio vuoto, una dispensa inesauribile da saccheggiare per soddisfare le brame di interessi esterni e interni. Sappiamo che il governo e le politiche sono molto spesso legate a interdipendenze finanziare e alle multinazionali che sfruttano questi territori senza alcun ritorno per le popolazioni locali. Nel contesto di questa crisi socio-ambientale, la regione Amazzonica è una regione cruciale, da curare in modo particolare, perché determinante per la vita di ciascuno di noi.

Mentre scriveva il suo libro immaginava che a ridosso della pubblicazione il quadro sarebbe peggiorato fino al livello a cui abbiamo assistito?
Il saccheggio dell’Amazzonia e della deforestazione non è certo una novità. Ricordo che nel 1997 ero nello Stato della Rondonia, nell’ovest della foresta Amazzonica al confine con la Bolivia, nella sua capitale Porto Velho e verso lo stato di Acre, passa la Trans-Amazzonica la famosa strada che attraversava la foresta Amazzonica. L’abbiamo percorsa per 500km, ma altro non era che un’autostrada nel deserto e faceva impressione vedere a destra e a sinistra un paesaggio lunare dove c’erano solo deserto e acqua. Quando si toglie, si distrugge la foresta, perché se si tagliano gli alberi da questa parte dell’Equatore, il sole è così forte che non cresce più niente e diventa tutto deserto. Quindi è certo che il problema non è nato adesso. Conosciamo il “tipping point” dell’Amazzonia, ossia il punto di non ritorno fissato dagli scienziati superato il quale la sua distruzione sarà irreversibile. È stato fissato al 40% della deforestazione. Siamo già al 20% e quindi questo che abbiamo visto non è che un ultimo grido di agonia. In questo momento, questi fatti, ricordano solo una cosa a noi tutti, uomini e donne d’altre latitudini: siamo legati a questa regione e non siamo i padroni assoluti del pianeta.

Il servizio dedicato agli incendi in Amazzonia su Tg2000

Questo e altri problemi ambientali attirano l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale soltanto quando accadono eventi particolarmente scioccanti. Come si può correggere questo comportamento?
I problemi ambientali emergono soltanto quando ci sono per lo più eventi scioccanti. Io ero presente tra i giornalisti al seguito del volo papale in viaggio verso il Cile e il Perù. La prima tappa è stata a Puerto Maldonado, che è la capitale della biodiversità del Perù e allo stesso tempo anche la capitale della devastazione ecologica e umana. Il papa ha posto questa domanda: “Come si può lì, in quel luogo, ancora non comprendere che la difesa della Terra, della foresta, non ha altra finalità che non sia la difesa della vita?”. Ha costretto la stampa mondiale a mettere il dito nella piaga della coscienza collettiva e a spalancare gli occhi sullo stretto legame che c’è tra la foresta e la vita. La questione ambientale in Italia ha cominciato ad affermarsi sulla stampa solo nei primi anni 70, dopo la crisi petrolifera del ‘73, dopo il disastro di Seveso. Ma solo dopo il caso di Chernobyl, negli anni ‘80 e ’90, si risvegliano anche i quotidiani. Sulla spinta delle catastrofi ambientali c’è stato un input. Con Chernobyl si è avviata una stagione di allarmi globali. L’ecologia è diventata notabile, ma solo in scenari apocalittici, mentre i problemi ambientali di portata più circoscritta hanno avuto un’importanza meno enfatica e più ristretta in ambito della cronaca. Resta una visione frammentaria e slegata dai problemi quotidiani. La propensione a privilegiare l’emergenza alla quotidianità ambientale resta. Dobbiamo considerare che c’è un sistema di lobby economiche e finanziarie che favoriscono un modello di sviluppo che porta alla distruzione. Che non guarda, quindi, alla tutela dell’ambiente. Il limite della stampa odierna è questo: non c’è una cultura di ecologia integrale e l’informazione resta sempre legata alle catastrofi, manca un’informazione costante che non smarrisca la quotidianità. Manca un ruolo educativo, di formazione, che costituisca le basi per un’ecologia integrale che conduca a una conversione personale che permetta di rispondere alla domanda posta dal Papa.

La manifestazione a Rio dello scorso 25 agosto

Rio pela Amazônia #342amazonia - 25/8/19 - Rio de Janeiro

Anche in Italia il problema degli incendi boschivi esiste, basti dire che secondo la Protezione Civile negli ultimi trent’anni è andato in fumo il 12% per cento del nostro patrimonio forestale. Pensa che le istituzioni stiano facendo abbastanza per fronteggiare questo fenomeno che in larga parte ha origini dolose? Serve più cultura o repressione?
È una questione di responsabilità su diversi livelli in cui si devono non solo applicare le leggi, ma cambiare anche dal profondo la mentalità. L’Italia è responsabile non solo del proprio Paese. Sappiamo che in Amazzonia l’allevamento dei bovini, secondo il dipartimento foreste e studi ambientali di Yale, è il principale motore della deforestazione ed è responsabile dell’80% circa dell’attuale tasso della deforestazione tropicale. In questo l’Italia ha un ruolo da protagonista in quanto è il massimo importatore al mondo. Fornisce, infatti, alcune delle più importanti industrie del made in Italy nei settori moda e arredamento. Basti dire che nel 2016 l’Italia ha importato 29.000 tonnellate di pelle dal Paraguay per un valore di 58.000.000 di euro e rappresenta praticamente la totalità dell’importo di pelle europeo. Se vogliamo salvare il nostro patrimonio si deve passare da un paradigma tecnocratico ad uno nuovo, cioè a un sistema diverso di vita, di coscienza, di azione e di valori che miri allo sviluppo integrale e sostenibile delle persone e della società umana. Questo comporta un’azione incisiva e lungimirante nella politica e nell’economia, nella legislazione e nell’organizzazione della società di cui è necessario parlare e in cui si responsabilizzi ogni livello di governo amministrazione. Si deve insistere molto sull’importanza dell’educazione per trasformare atteggiamenti e comportamenti di ogni persona, altrimenti nessuna normativa potrà essere efficace. Per cui, cambiare il paradigma, significa necessariamente cambiare stile di vita a cominciare dall’educazione

Cosa bisognerebbe fare per sensibilizzare le persone verso questa causa? In che modo ognuno di noi può contribuire alla tutela di un ambiente, come quello amazzonico, geograficamente lontano, ma profondamente legato all’esistenza di tutti noi?
Occorre un grande impegno per superare la crisi e bisogna agire subito. È il tempo di riflettere sui nostri stili di vita e su come le nostre scelte quotidiane in fatto di consumi, spostamenti, utilizzo dell’acqua, dell’energia e di tanti altri beni materiali siano spesso dannose. Come ricordava anche il Papa di recente “stiamo spadroneggiando sul creato”. Bisogna, quindi, assumere stili di vita più rispettosi e cambiare. È anche ora di abbandonare la dipendenza dai combustibili fossili e affrontare transizioni verso forme di energia pulita, economia sostenibile e circolare. Non dobbiamo dimenticare di ascoltare anche le popolazioni che vivono a contatto diretto con l’ambiente perché esse sono portatrici di una saggezza secolare che può insegnarci a vivere meglio il rapporto con la natura. Credo che, questo, sia il tempo di intraprendere azioni forti. Tanti giovani stanno alzando la voce in tutto il mondo e invocano scelte coraggiose. Noi dobbiamo guardare anche loro che sono delusi da troppe promesse disattese, per interessi e convenienze di parte. Forse loro ci ricordano più di altri che la terra non è un bene da prosciugare, ma un’eredità da trasmettere. Sperare nel domani non è solo un bel sentimento, ma un compito che richiede azioni concrete. Ai ragazzi, ai nostri figli, dobbiamo dare risposte vere e non illusioni.

Quali risultati concreti si augura di raggiungere con l’uscita del suo nuovo libro?
“Frontiera Amazzonia” è un viaggio che mette a fuoco la crisi socio-ambientale di questa grande regione Panamazzonica. Io e Lucia Capuzzi abbiamo risalito il Rio delle Amazzoni, la grande arteria del continente e del mondo, senza il quale un intero universo si ritroverebbe senza vita. Questa consapevolezza ci ha spinte a percorrerlo e seguirne la rotta dalle sorgenti fino a sud di Manaus dove abbiamo visto quello che comporta la distruzione, lo sfruttamento e la criminalità organizzata. Questi sono i luoghi emblematici proprio di quel paradigma economico, che con il mito del consumo e dello sfruttamento illimitato, ha reso la caccia alle risorse frenetica. Quello che vorremmo fare con questo libro è raccontare tutto questo: raccontare il cuore del mondo minacciato, ma soprattutto diffondere la consapevolezza che l’Amazzonia non è un mondo altro, lontano ed esotico, ma è lo specchio del nostro. Ed è una questione di vita o di morte. Nostra, loro, di tutti.


Il libro

Stefania Falasca e Lucia Capuzzi
“Frontiera Amazzonia”
Editrice missionaria italiana, Bologna 2019,
176 pagine
15 euro

Consulta la scheda bibliografica e acquista il libro sul sito di Editrice missionaria italiana

L'autore

Anastasia Verrelli
Anastasia Verrelli
Avida esploratrice della vita, le caratteristiche che più mi distinguono sono la curiosità e l’ambizione, che mi spingono sempre a dare il meglio e a scovare la verità.

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