Il ministro Gilberto Pichetto Fratin

Il Mase vara il Piano di adattamento ai cambiamenti climatici. Basterà?

Il Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica (Mase) ha approvato il tanto atteso Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (Pnacc) definito, dal ministro Gilberto Pichetto Fratin, «un passo importante per la pianificazione e l’attuazione di azioni di adattamento ai cambiamenti climatici nel nostro Paese». Il Pnacc, redatto dopo sei anni dalla sua prima stesura e attraverso quattro diversi governi, mette nero su bianco la necessità di affrontare le conseguenze del cambiamento climatico. 

Basti pensare all’innalzamento del livello del Mediterraneo, che sembra più veloce del previsto visto che, secondo gli esperti che hanno stilato il documento, raggiungerà i 19 centimetri entro il 2065. Oppure alla siccità, che nel 2022 ha riscontrato anomalie del -40% di piogge in alcune aree, all’aumento delle temperature dei mari e alla fusione dei ghiacciai, che hanno già perso tra il 30 e il 40% del loro volume. Infine, alle alluvioni o alle ondate di calore che imperversano sui territori.

Nel Piano sono state individuate 361 misure di carattere nazionale o regionale che devono essere applicate in vari settori (foreste, zone costiere, insediamenti urbani, agricoltura, pesca, sanità, energia, trasporti e altre ancora). Mancano ancora i dettagli operativi, ma per adesso le azioni sono state suddivise in tre tipologie:

  • le azioni “soft”, che comprendono esclusivamente interventi informativi, organizzativi e partecipativi che non richiedono interventi strutturali e materiali diretti;
  • le azioni “green”, che riguardano le soluzioni basate sulla natura e quindi centrate sulla rinaturalizzazione del territorio;
  • le azioni “grey”, che prevedono interventi su impianti, tecnologie o infrastrutture.

Di tutte le azioni previste, però, la stragrande maggioranza – più di 250 – sono “soft”, mentre le rimanenti si dividono tra “green” e “grey”.

L’obiettivo dichiarato dal Pnacc, insomma, è chiaro e ambizioso: fornire un quadro di indirizzo nazionale per implementare azioni che riducano al minimo i rischi derivanti dai cambiamenti climatici, che migliorino le capacità di adattamento dei sistemi socioeconomici e naturali e che sfruttino le opportunità che possono emergere dalle nuove condizioni climatiche.

Ma cosa ne pensano le associazioni ambientaliste? 

«Riteniamo non ammissibile che dopo sette anni si proponga un Piano con “possibili opzioni di adattamento (…) che troveranno applicazione nei diversi strumenti di pianificazione, a scala nazionale, regionale e locale”» fa sapere il Wwf Italia. E aggiunge: «Il Piano appena pubblicato è analogo a quello precedente e ha gli stessi limiti, mancanza di decisioni chiare e coraggiose, ottima identificazione sintetica dei possibili impatti e problemi, scarsa e deficitaria individuazione delle cose da fare e di come finanziarle.» Il direttore scientifico dell’Asvis, Enrico Giovannini, dal canto suo ricorda che «il Pnacc non beneficia di specifiche risorse finanziarie: per questo, bisogna urgentemente valutare se e come gli investimenti previsti dal Pnrr o quelli finanziati da altri strumenti, come i fondi europei e nazionali per la coesione, possano contribuire alla realizzazione del Piano.» Infine, secondo Stefano Ciafani, presidente di Legambiente, anche dopo l’approvazione del Pnacc rimane fondamentale mettere in campo «una chiara e decisa strategia di prevenzione attuando al più presto le 361 azioni individuate». Come dire: la sfida è grande e occorrono risorse. Ma almeno si sta cominciando ad affrontarla.

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