Daniele Masala, olimpionico green
Un mito dello sport italiano, particolarmente attento alla natura. E animato dal sincero interesse di proteggere l’ambiente attraverso la sua attività da atleta, anche adesso che è ormai in pensione. È Daniele Masala, pentatleta originario di Roma che ha conquistato, già dalle sue prime competizioni, svariati titoli come Vice-campione Italiano, nel 1969, nei 400 misti ai Campionati Italiani Assoluti di Nuoto di Napoli. Subito inizia la sua avventura con il pentathlon moderno, che l’avrebbe portato a conquistare 14 titoli assoluti a squadre (dal 1973 al 1983 e dal 1985 al 1987). Nel 1976 arriva invece il primo dei 10 titoli italiani a livello individuale (dal 1976 al 1982 e dal 1985 al 1987). Nel 1984, dopo che nel 1980 non aveva potuto partecipare a causa del boicottaggio politico in cui il governo italiano decise di non schierare atleti provenienti da corpi militari, partecipa di nuovo ai Giochi Olimpici e a Los Angeles fa suo l’oro sia nell’individuale sia, con Cristofori e Massullo, nella prova a squadre.
L’ambiente naturale si può ritenere una palestra a cielo aperto?
La prima palestra a disposizione dell’uomo è la natura. I bambini giocano per i campi, in spiaggia, nei prati, tutto ciò che è natura è motivo di gioco e di crescita, ricordiamoci che proprio attraverso il gioco il bambino diventa adulto. Oggi c’è un ritorno alla natura, cercando di riscoprire quelli che sono le fondamenta della crescita umana, quindi la natura assolutamente può essere considerata una palestra a cielo aperto, direi addirittura che le palestre hanno preso spunto dalla natura per ricreare al chiuso quello che troviamo all’aperto. Non a caso esistono le palestre di arrampicata, una riproduzione delle falesie, delle pareti da scalare costruite però all’interno di un centro sportivo. La natura è quindi la prima opportunità di gioco, di crescita, di movimento per l’essere umano.
Come lo sport influenza l’ambiente?
A questo proposito ci sono tanti progetti in cui c’è lo sport sostenibile. Molto spesso si pensa a degli sport come se fossero delle opportunità di dimostrazione ecologica, in realtà non è proprio così. Ad esempio la vela, che potrebbe essere considerata uno sport assolutamente ecologico, in realtà questi plasticoni che vengono prodotti migliaia e migliaia all’anno, sono poi materiali che non possono essere riciclati o smaltiti con molta facilità. C’è un Paese nel sud della Francia che usa le chiglie di queste grandi imbarcazioni a mo’ di tetto, così da sfruttare questo tipo di materiale che sarebbe, invece, molto difficile da smaltire. Tutto lo sport e l’essere umano in generale produce una grandissima quantità di rifiuti, basti pensare anche alle numerose manifestazioni sportive che vengono realizzate ogni anno a Roma, come: Piazza di Siena, le partite di calcio, di tennis, di rugby. Questo è un tema molto importante che ci fa riflettere e che ci deve far pensare a come l’essere umano deve essere più educato nel produrre e soprattutto nel trattare questi elementi che sono ostili alla natura.
Quali sono gli sport che rispettano l’ambiente?
Innanzitutto, bisogna fare un distinguo tra sport agonistici e sport non agonistici. Tutto ciò che è movimento semplice, come il trekking, lo spostarsi da una parte all’altra con la bicicletta, a cavallo, a piedi, sono sport ecologici, sempre che non si buttino per strada le cartacce o le lattine di metallo. Tutto il resto comporta una compromissione dell’ambiente. Ad esempio nel calcio se non ci fossero gli stadi sarebbe uno sport ecologico, ma bisogna costruirli e anche molto grandi e voluminosi per godere delle partite di alto livello. Lo sport è senz’altro frutto del progresso che con il tempo si è sviluppato e quindi di conseguenza non ci sono tantissimi sport se non attività motorie, che invece rispettano l’ambiente.
Per lei che ruolo ha l’ambiente adesso e quando gareggiava?
Ho praticato uno sport che comprendeva due discipline molto naturalistiche, una era l’equitazione e l’altra era la corsa campestre. Provenendo dal nuoto, uno sport che in inverno si pratica soprattutto in ambienti chiusi, aprire le mie conoscenze con la corsa campestre a spazi immensi e con l’equitazione che si fa sempre all’esterno, ha significato per me un grande crescita sia personale, si come cittadino. Oggi, quando vedo i grandi prati, le foreste che vengono disboscate per fare dei resort o per costruirci dei palazzi, mi piange il cuore, penso che sia proprio il caso di cominciare a capire che costruire costantemente dovunque, significhi l’autodistruzione dell’essere umano e non invece la valorizzazione della natura, la quale natura ci permette la vita e soprattutto di guardare con fiducia al futuro.
L'autore

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Valentina Merolle nasce a Frosinone il 31/05/1994, si diploma come Perito Chimico presso l’Istituto Superiore Tulliano (Arpino) nel 2013, si Laurea in Strategie Comunicative e Multimediali a Cassino nel 2016 e in Management nel 2022 presso l’Università degli studi di Cassino e del Lazio Meridionale. Nel 2017 frequenta il Master di I livello in “Marketing e Retail Management”.
Dal 2018 inizia a collaborare con diverse Associazioni Benemerite riconosciute dal C.O.N.I. : CISCoD (Comitato Italiano Sport contro Droga), CO.NA.P.E.F.S. (Collegio Nazionale dei Professori di Educazione Fisica e Sportiva) e USSI (Unione Stampa Sportiva Italiana).
Nel 2020 diventa Social Media Manager del “Reale Circolo Canottieri Tevere Remo”.
Tra le sue grandi passioni c’è la montagna, lo sport e il disegno. Ama le sfide e mettersi sempre alla prova.