Affonda la Sanchi, si teme un disastro ambientale
Il nuovo anno si tinge di nero. Come la torre di fumo che si innalza dalle acque. Come la chiazza di petrolio che le contamina. Sembra uno scenario apocalittico ma sta accadendo nel Mar Cinese Orientale, dove lo scorso 6 gennaio la petroliera iraniana Sanchi è entrata in collisione con il mercantile Cf Crystal, a 160 miglia da Shanghai. La tragedia conta 32 vittime: erano i membri dell’equipaggio della nave, controllata dalla società di Hong Kong Bright Shipping per conto della National Iranian Tanker. Mentre in mare sono finite 136mila tonnellate di condensato ultraleggero, diretto in Corea del Sud, che ora rappresentano una seria minaccia per l’ambiente.
Tre volte Parigi
L’ampiezza del disastro è notevole: un rapporto della Cnn riferisce che la chiazza di petrolio è cresciuta fino a ricoprire oltre 100 chilometri quadrati, all’incirca quanto la superficie Parigi, ma le stime più recenti delle autorità di Pechino parlano di un’estensione tre volte più grande e in ulteriore aumento. Secondo una simulazione del National Oceanography Centre di Southampton il versamento potrebbe raggiungere le coste del Giappone in un mese, quelle coreane entro tre. Alcune associazioni ambientaliste affermano inoltre che i due pennacchi di petrolio visibili rappresentano soltanto “la punta dell’iceberg”: si stima che circa duemila tonnellate di combustibile siano ancora nei serbatoi della Sanchi, pronte a contaminare i fondali e milioni di pesci.
L’allarme del Wwf
«Il Mar Giallo è caratterizzato da un fondale poco profondo, quindi molto vulnerabile allo sversamento prodotto da questo disastro». È ciò che dichiara Ghislaine Llewellyn, vicedirettore della Ocean Practice del Wwf. L’associazione chiede una mobilitazione urgente di tutti i mezzi di contenimento disponibili per contenere la chiazza tossica e ridurre la minaccia, impedendo che contamini e uccida la vita marina. «Sotto i nostri occhi si sta svolgendo un disastro ambientale – continua Llewellyn – Quello che è accaduto non può che ricordarci, ancora una volta, quali e quanto pericolosi siano i rischi legati ai combustibili fossili, al loro trasporto e al loro uso». Il New York Times ha analizzato l’impatto ambientale affermando che, proprio in questo periodo dell’anno, la porzione del Mar della Cina orientale in cui si è verificata la fuoriuscita è un luogo di riproduzione di pesci commestibili. Greenpeace aggiunge che il versamento si trova «sul percorso migratorio di molti mammiferi marini, come la megattera, la balena franca e la balena grigia».
Tokyo minimizza
Da Tokyo si cerca di minimizzare le preoccupazioni degli ambientalisti. Ma è chiaro ormai che il versamento potrebbe aver intaccato drasticamente l’habitat naturale. «Il sito di collisione si trova all’interno dell’area considerata una delle zone di pesca più ricche e produttive della Cina» ha spiegato Ma Jun, un ambientalista cinese, alla Cnn. Non è facile, dunque, ammettere che quelle acque si stiano avvelenando. Gli ambientalisti hanno criticato sia la Cina che il Giappone, denunciando la lentezza con cui i due Paesi hanno valutato i danni prodotti dall’incidente, considerato il peggior disastro petrolifero avvenuto negli ultimi decenni.
“It remains almost impossible to estimate the magnitude of the spill” – Greenpeace on sunken #Sanchi tanker >> https://t.co/XEem7I1xs9
— Greenpeace PressDesk (@greenpeacepress) 24 gennaio 2018
E se accadesse da noi?
Le preoccupazioni, tuttavia, non si limitano all’area geografica della collisione. «Incidenti come questo si potrebbero evitare, se si investisse sulle fonti rinnovabili e ci fossero più controlli sul traffico marittimo» fa sapere l’associazione Marevivo, che chiede a tutti i Paesi maggiori provvedimenti per i rischi connessi alla navigazione di carichi pericolosi e inquinanti, con particolare attenzione ai mari chiusi come il Mediterraneo. Mentre Fabio Faraone, Capo servizio tecnica navale, sicurezza e ambiente di Confitarma, assicura in un’intervista al magazine “e7” che «le petroliere sono soggette a controlli accurati e continui dal punto di vista tecnico e strutturale. Le nostre navi oggi hanno tutte specifiche tecniche avanzate, come nel caso del doppio scafo, di cui anche la Sanchi era dotata». Secondo Faraone, dunque, alla base dell’incidente nel mar Cinese ci sarebbe l’errore umano. «Il fattore umano vale dappertutto. Però si può innalzare l’allerta in una zona di traffico intenso. Ciò che occorre è coscienza e controllo sulla condotta».
Meglio prevenire
Un’affermazione che fa riflettere, se si pensa che il Golfo di Napoli ha un traffico secondo solo a quello di Hong Kong. Anche se il Mediterraneo sembra un mare sicuro per la navigazione: secondo il “Rapporto sui Sinistri marittimi 2016” del Ministero dei Trasporti gli incidenti nelle acque territoriali e limitrofe dal 2007 sono diminuiti del 22%, passando da 349 a 272 nel 2016. Ma come dire, vista la preziosità e la bellezza del mare nostrum la prudenza e la prevenzione non sono mai troppe.