Record di CO₂ in atmosfera, concentrazione mai così elevata. E gli effetti si vedono
È proprio vero che quello in corso è il secolo dei record. Lo scorso maggio infatti, la quantità di anidride carbonica nell’atmosfera ha raggiunto la più alta concentrazione di sempre e la responsabilità è anche nostra. Questo secondo due analisi separate della Scripps Institution of Oceanography e della National Oceanic and Atmospheric Administration (Noaa). I dati raccolti sono allarmanti: se gli scienziati della Scripps hanno calcolato una media mensile di 418,92 ppm, le rilevazioni del Noaa contano addirittura 419,13 ppm. Gli effetti sono sotto gli occhi di tutti, basti pensare agli incendi rovinosi che hanno funestato nelle scorse settimane la British Columbia, in Canada, a causa del caldo record che ha colpito il paese provocando già oltre 700 vittime, con le temperature superiori i 50 °C. Oppure ai fenomeni estremi che si sono abbattuti in diverse regioni d’Europa, dal tornado nella Repubblica Ceca di giugno alle violente grandinate nel settentrione d’Italia delle ultime ore.
Come interpretare i dati
Proprio nel mese di maggio, del resto, si rileva la massima concentrazione annuale di anidride carbonica in atmosfera. Le piante dell’emisfero settentrionale infatti, durante l’autunno, l’inverno e l’inizio della primavera, emettono CO₂ che poi assorbiranno in grandi quantità durante l’estate per alimentare la propria crescita. La variazione stagionale della concentrazione di anidride carbonica infatti è naturale, come dimostra l’andamento a dente di sega del grafico qui sotto fornito dall’osservatorio di Mauna Loa. Ma i climatologi dell’Ippc, il panel dell’Onu sul clima, hanno più volte hanno richiamato l’attenzione sulle conseguenze delle attività antropiche, specialmente quelle legate all’uso dei combustibili fossili. Tanto che negli ultimi decenni queste hanno prodotto un aumento costante di CO₂ nell’atmosfera, registrato dalla cosiddetta curva di Keeling che ha portato.

La curva di Keeling
La curva, che vedete rappresentata qui sopra, è diventata un’icona del cambiamento climatico. Da 63 anni infatti, mostra l’escalation costante dei livelli di CO₂, sulla base delle misurazioni effettuate presso il Mauna Loa Observatory delle Hawaii, fra i principali punti di monitoraggio globale sull’andamento delle emissioni climalteranti. Nel 1958 fu proprio Charles David Keeling a guidare le prime registrazioni presso questa struttura situata nell’Oceano Pacifico.
La sua collocazione permette di ottenere valori medi della concentrazione atmosferica di CO₂ nell’emisfero settentrionale, perché l’atmosfera campionata è indisturbata da fonti di inquinamento o dalla vegetazione. Quando Keeling intraprese le misurazioni, il livello di CO₂ era di 315 ppm. e nel 2005, anno della sua morte, di 382 ppm. Nel 2013 poi, hanno abbattuto la soglia di 400 ppm. Questo maggio invece, la Scripps e il NOAA che da anni conducono attività indipendenti e complementari, hanno calcolato una media mensile di gran lunga superiore al valore di 417 ppm. registrato nello stesso mese nel 2020.
La minaccia dell’anidride carbonica
La concentrazione eccessiva di CO₂ potrà essere molto pericolosa. L’emissione di miliardi di tonnellate di anidride carbonica ogni anno potrebbe determinare infatti, un aumento incontrollato della temperatura terrestre. E’ proprio per questo che molti paesi hanno aderito all’Accordo di Parigi, per contenere l’innalzamento della temperatura preferibilmente entro 1,5 gradi Celsius rispetto ai livelli preindustriali. Ogni paese dunque deve abbattere le cause dell’inquinamento da CO₂. Il figlio di Keeling, il geochimico Ralph Keeling, che gestisce il programma Scripps a Mauna Loa avverte “L’ultima manopola di controllo sulla CO2 atmosferica sono le emissioni di combustibili fossili”.
Storia vecchia
È la solita vecchia storia dunque, quella in cui le fonti di energia rinnovabile devono prendere il posto dei combustibili fossili. E mentre gli Stati sfoggiano piani a lunghissimo termine per ridurre le emissioni, anche quest’estate continuiamo ad assistere a eventi climatici sempre più estremi. Nei territori settentrionali degli Usa e del Canada le temperature battono ogni record. Periodi di caldo estremo in territori terrestri insospettabili, sempre più lunghi, intensi e frequenti, sono infatti una delle conseguenze del cambiamento climatico. Anche in Italia il fenomeno produce effetti preoccupanti: l’assenza di pioggia, fa sapere Coldiretti, è causa della siccità sul Po che soffre un crollo delle portate fino al 30% rispetto alla media storica con una situazione di siccità che riguarda l’intero bacino padano dal quale arriva oltre un terzo della produzione agricola italiana. E la mancanza d’acqua, insieme al caldo anomalo, facilitano l’opera dei piromani che stanno colpendo, con la propria azione criminale, vaste aree del meridione d’Italia mandando in fumo decine di ettari di macchia mediterranea, boschi e ulivi.
L'autore

- Studentessa e violinista con lo sguardo volto alla crisi climatica