Cassino, la forza degli affetti anche nel “luogo della prova”. Conversazione con il parroco, don Nello
«Vedevo solo il loro sguardo. Significativo, pieno di umana empatia. Capivo che lì dentro la battaglia era di tutti». Don Aniello (per tutti, Nello) Crescenzi, 45 anni a giugno, insegna Lettere al liceo classico Giosuè Carducci ed è il parroco di Sant’Angelo in Theodice, frazione di Cassino. Nel 1994 ha conseguito la maturità classica nello stesso istituto in cui ora insegna e nel 1999 la laurea in Lettere e Filosofia presso l’Università degli Studi di Cassino. Ha ottenuto anche la Licenza in Sacra Scrittura al Pontificio Istituto Biblico di Roma. Nel mese di dicembre è risultato positivo al coronavirus ed è stato ricoverato all’ospedale Santa Scolastica di Cassino fino alla guarigione.
Professore, come si è accorto di essere positivo e perché è stato necessario il ricovero?
La sera del 9 dicembre ho avvertito un po’ di spossatezza e ho misurato la temperatura. Avevo un po’ di febbre e ho pensato subito di avere la Covid. Il mio medico mi ha consigliato di aspettare qualche giorno prima del tampone e poi il 12 sono risultato positivo ai tre geni. Ho iniziato immediatamente la cura prevista dal protocollo sanitario nazionale, ma sentivo che le mie condizioni non miglioravano. Una tosse stizzosa e un dolore persistente alla schiena non mi davano pace, solo dopo ho capito che era dovuto alla polmonite. Ogni tanto misuravo la saturazione e la pressione arteriosa e venerdì 18 i battiti erano alle stelle. Ho preferito andare al pronto soccorso per uno screening cardiaco. Per fortuna il medico di turno ha capito che la fibrillazione poteva dipendere da una polmonite e mi ha sottoposto a una TAC. Polmonite bilaterale interstiziale estesa al 30%. Il giorno stesso sono stato portato nel reparto Covid, dove ho trascorso la mia degenza fino al 7 gennaio.
C’è stato un momento in cui ha pensato di non farcela?
Sì. I medici sono stati chiari sin da subito. Il Cov-Sars-19 è un virus veloce e la sintomatologia si può aggravare da un giorno all’altro. Insomma, ero ben consapevole che il passo dal reparto alla terapia intensiva avrebbe potuto essere breve! Al decimo giorno, tutti i sintomi si sono fatti molto acuti e non riuscivo neanche a parlare per la forte tosse. Ogni tanto i medici correvano in una stanza per intervenire d’urgenza. La percepivo eccome, la gravità. Chissà, mi sono detto…
Poi le cose sono andate sempre meglio e il giorno della Vigilia sono stato per qualche ora addirittura senza ossigeno.
Quei giorni così difficili come passavano?
In verità le giornate nel reparto Covid non sono così diverse da una normale situazione ospedaliera. Sveglia alle 5.30 per misurare i parametri vitali, colazione alle otto, terapia fino a mezzogiorno e poi il pranzo. La mattinata non dico che volava, ma per fortuna passava veloce. Del pomeriggio – sorride – si conosceva l’inizio ma non si vedeva la fine. Dopo l’edizione del TG1, rigorosamente in diretta su RaiPlay, cercavo di distrarmi con una serie tv che desideravo vedere da tempo. Si intitola “Merlino” e racconta la storia di re Artù. Tra l’altro (mentre parliamo prende un libro dalla libreria, ndr) in questi giorni mi sono concesso anche una rilettura di tutto il ciclo. I miei alunni conoscono bene la mia passione per il fantasy. Il problema più grande era la notte. Tutti i pensieri che di giorno avevo allontanato, riaffioravano. Io e il mio compagno di stanza, che sento tutti i giorni, ci siamo salvati a vicenda raccontandoci le storie delle nostre vite. Quando si condivide la malattia, è facile che si crei affinità.
Come è stato l’approccio degli infermieri ai malati?
Squisito, vedevo solo il loro sguardo. Significativo, pieno di umana empatia. Capivo che lì dentro la battaglia era di tutti. Per qualche giorno mi sono sentito al centro della mia vita e anche della loro. Forse è per questo che la mia esperienza non è stata solo negativa.
Nel senso che sentiva il loro calore?
Avvertivo le loro premure e, grazie alla tecnologia, anche tutto il bene che le persone nutrono per me. Il ricovero è stato un momento di riflessione. Difficile, per carità. Ma nei tempi “morti” ho capito chi tiene davvero a me.
Non dica che non avrebbe preferito essere altrove…
Certamente la Messa di Natale con i miei ragazzi è più festosa di una corsia. Ma nel luogo della prova non mi sono mai sentito fuori luogo. Ho sempre celebrato nella mia stanza, ma i medici mi hanno accordato il permesso di celebrare la Messa della Vigilia nel corridoio. Ho confessato tanti infermieri e mi sono affacciato con il Bambinello nelle camere dei malati. È stato un momento intenso. Un disegno c’è, io avevo bisogno di questa prova e il reparto forse aveva bisogno di un sacerdote proprio nel giorno di Natale.
La sua Fede ha vacillato?
La Fede è un cammino che non sono mai riuscito a quantificare. È come l’Amore. Si può non provare Amore in un momento particolarmente difficile della vita, ma un barlume di speranza c’è sempre in tutti. Vedi, la Fede non sottrae alla prova difficile – io da un momento all’altro sarei potuto morire – ma dà un senso alla prova e aiuta a scegliere la prospettiva più adatta. Non cancella la croce, ma la illumina. E se attraversi la croce con pienezza, cresci, capisci, condividi. La prova, per chi crede, può essere una grande occasione per fare del bene e riceverne ancora di più. Non ho mai vissuto la mia Fede come una consolazione, ma come un’opportunità, che ogni tanto viene passata al setaccio per essere verificata.
La sua formazione classica è stata di conforto?
Sempre. Nei momenti più difficili mi venivano in mente alcune pagine di Seneca e Plutarco. Devo dire che questo periodo della letteratura classica (I-II sec. d.C.) è il più adatto ai miei gusti, perché vi riconosco una pienezza dei tempi che spero sia propria di ogni uomo.
Insomma, padre, il Paradiso può attendere?
Direi proprio di sì (ride). Però il Paradiso inizia quaggiù. Non dividiamo quello che ci attende da quello che viviamo perché la vita eterna è già cominciata ed è nostro compito fare di questo mondo un Paradiso.
L'autore
- Le lenti dei miei occhiali sono vetri vecchi e impolverati. Ho bisogno del passato per trovare il mio posto nel presente.